mercoledì 15 settembre 2010

LA MAFIA E' ENTRATA IN BORSA....................




Mafia e appalti, condanna definitiva per Filippo Salamone
Giudiziaria - Agrigento / Sicilia — 30 Aprile 2008 21:39
La quinta sezione della Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati dagli imprenditori FilippoSalamone, Giovanni Bini e Lorenzo Panzavolta, confermando così le condanne per concorso in associazione mafiosa inflitte loro dalla corte d'appello di Palermo nel cosiddetto processo mafia-appalti. Le pene per i 3 imputati, dunque, sono ormai definitive.Panzavolta, ex manager del gruppo Ferruzzi, e Bini sono stati arrestati questa mattina.
Salamone, agrigentino, fratello del magistrato della Procura di Brescia, Fabio Salamone, colto da infarto dopo avere appreso la notizia del verdetto, è ricoverato in ospedale. Panzavolta e Salamone devono scontare 6 anni e sei mesi; Bini I giudici della Suprema Corte, dichiarando inammissibili i ricorsi della procura generale, hanno poi confermato le assoluzioni degli imprenditori Giovanni Miccichè, Franco Canepa e Giuseppe Bondì. Istruito dal pm della Procura di Palermo, Maurizio de Lucia, il processo nasce dalle dichiarazioni del pentito Angelo Siino, che svelò agli inquirenti il cosiddetto metodo del 'tavolinò, termine che indicava il tavolo a cui si sarebbero seduti, dal 1988, Antonino Buscemi (morto durante il primo grado del
dibattimento) e Giovani Bini in rappresentanza di Cosa nostra, e Filippo Salamone, titolare della"Impresem",in rappresentanza degli imprenditori e dei politici, per spartirsi la torta degli appalti siciliani.
Secondol'accusa, dunque, una sorta di comitato d'affari, composto da appena tre persone, avrebbe deciso, applicando le regole imposte dal capomafia Totò Riina, i dettagli della distribuzione di lavori miliardari in tutta l'isola.
Le dichiarazioni di Siino, definito "ministro dei lavori pubblici" di Cosa nostra, il cui ruolo poi fu dallo stesso padrino di Corleone ridimensionato a vantaggio di Salamone, sono state confermate anche da un altro collaboratore di giustizia: Giovanni Brusca. Brusca raccontò che, a un certo punto, Riina decise che l'imprenditore agrigentino sarebbe stato l'unico manipolatore dei grandi appalti, compresi quelli superiori all'importo di cinque miliardi di vecchie lire. In cambio del riconoscimento offertogli da Cosa nostra,Salamone avrebbe dovuto garantire il versamento di una quota di grandi appalti a società segnalate dalla mafia, in primo luogo a quelle del gruppo Ferruzzi. Riina avrebbe infine imposto al titolare della Impresem di versare nelle casse della mafia il 3% dell'importo degli appalti assegnati alle imprese amiche; mentre per sè ilcapo di Cosa nostra avrebbe trattenuto lo 0,80%.

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Mafia: confermate in Cassazione le tre condanne per il "tavolino" degli appalti a Panzavolta, Salamone, e Bini
pubblicato da Fabio Mascagna in: Corruzione Boss Mafia Inchieste e processi

La notizia è di pochi giorni fa, ma importante. La Corte di Cassazione ha infatti confermato le condanne per gli imprenditori Lorenzo Panzavolta, Filippo Salamone e Giuseppe Bini colpevoli di concorso in associazione mafiosa per la vicenda degli appalti in Sicilia diretti da un’unica regia.

A parlare del famoso “tavolino” attorno a cui politici, boss mafiosi ed imprenditori Siciliani avrebbero deciso le sorti degli appalti per le grandi opere pubbliche in Sicilia era stato Angelo Siino, ex ministro dei lavori pubblici nominato da Riina ed ora collaboratore di giustizia. Salamone è stato colto da infarto dopo aver appreso la notizia della condanna confermata a 6 anni di reclusione, pena che dovrà scontare anche Panzavolta. A Giovanni Bini invece 8 anni.

Siino raccontò che la creazione del “tavolino degli appalti” avvenne proprio negli uffici della Calcestruzzi spa di Bergamo, gruppo Italcementi, di cui era manager Panzavolta e che proprio lì attorno si sedettero Antonino Buscemi, Giovanni Bini a rappresentare Cosa Nostra e Salamone titolare della Impresem per decidere la distribuzione di lavori appaltati in tutta l’isola.

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Mafia: trattativa Stato-Cosa Nostra, spuntano i nomi
di Paolo Berlusconi e Alberto Mori

Sunday 14 March 2010

Un file della Direzione Investigativa Antimafia del 1999 fa riaprire le inchieste sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra, tirando in ballo Paolo Berlusconi e Alberto Mori, fratello dell'ex Generale Mario Mori, (ex capo del Ros e poi del Sisde, oggi capo dell’ufficio sicurezza del Comune di Roma e membro del comitato per la legalità e la trasparenza degli appalti dell’Expo di Milano. Assolto per la mancata perquisizione del covo di Riina è tutt’ora sotto processo per la mancata cattura di Provenzano).
Grandangolo nell'ultimo numero ne ricostruisce la storia e i retroscena.

Qualche settimana fa, con grande sforzo economico e mediatico, Giuseppe Arnone, ha accusato Grandangolo di inventarsi notizie circa l’esistenza di una indagine che partendo dalle stragi di Falcone e Borsellino puntava l’attenzione su personaggi di Agrigento. Interviste televisive, manifesti, spazi autogestiti, volgarità a iosa per difendere la posizione e gli interessi di Giovanni Miccichè, socio del condannato per mafia Filippo Salamone, ed entrambi titolari della Impresem spa, della Tecnofin e numerose altre società finite nel mirino della magistratura antimafia. L’Impresem, soprattutto, per sentenza definitiva, ha gestito tangenti ed estorsioni, consegnando alla mafia intesa come associazione criminale e a Salvatore Riina, inteso come capo indiscusso di Cosa Nostra, miliardi e miliardi di lire
Soldi che la mafia ha reimpiegato illecitamente , armando la mano dei picciotti, acquistando armi ed esplosivo, compiendo stragi.
Grandangolo, riportando letteralmente un provvedimento giudiziario firmato dal Gip di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, raccontava fedelmente quanto stava accadendo e quanto tre Procure della Repubblica d’Italia stavano cercando di fare per risalire a mandanti e movente delle stragi.
Siamo stati persino accusati di stalking nei confronti di Miccichè (in molti hanno riso) e di essere inventori di notizie fasulle.
Ne abbiamo preso atto, abbiamo raccolto tutti gli elementi utili da consegnare alla Procura della Repubblica di Agrigento per le iniziative di sua competenza, ed oggi qualche ulteriore elemento lo forniamo anche ai nostri lettori perché abbiamo il dovere di farlo per rispetto nei loro confronti.
Già avevamo stampato il provvedimento del Gip Tona nella parte che riguardava gli imprenditori Filippo Salamone e Giovanni Miccichè, quest’ultimo, secondo quel bontempone di Arnone, vittima di stalking.
Oggi vi riportiamo quanto ha scritto il quotidiano L’Unità (che dovrebbe essere più in sintonia con Arnone che con Salamone e Miccichè) il 14 settembre scorso (tanto per dare attualità ad una notizia ritenuta non vera) a firma di Nicola Biondo. Le vicende raccontate da Grandangolo (e L’Unità ha solo scritto parzialmente) sono vere. Lo conferma persino il procuratore della Repubblica di Palermo, Messineo. Ecco cosa scrive L’Unità senza essere accusata di stalking:
“È vero - lo dice il procuratore Messsineo in risposta a Berlusconi - che Palermo non sta indagando sulle stragi di mafia del ‘92-‘93.
Indaga piuttosto su chi prese parte alla trattativa fra Stato e Cosa nostra, il ruolo dell’ex sindaco Vito Ciancimino e del generale Mori. Sullo sfondo di questa indagine compaiono ora i nomi di Paolo Berlusconi e del fratello del generale Mori. Tutto nasce dall’inchiesta sui mandanti esterni delle stragi mafiose chiusa nel 2002 con l’archiviazione dell’attuale premier Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri.

Sul tavolo dei magistrati di Palermo è arrivato un file dimenticato: una relazione della Dia del 1999 che parla di legami tra imprenditori mafiosi e una ditta con due soci di rilievo: Paolo Berlusconi e un certo Giorgio Mori. Per il primo non c’è bisogno di presentazione.
Il secondo invece è il fratello del generale Mori: insieme a Paolo Berlusconi è stato socio di una ditta di costruzioni, la Co.Ge. Il generale Mario Mori (ex capo del Ros e poi del Sisde, oggi capo dell’ufficio sicurezza del Comune di Roma e membro del comitato per la legalità e la trasparenza degli appalti dell’Expo di Milano. Assolto per la mancata perquisizione del covo di Riina è tutt’ora sotto processo per la mancata cattura di Provenzano) ha smentito in un aula del tribunale di Palermo che quel Giorgio sia suo parente.
L’ha fatto sulla base di un argomento in apparenza inoppugnabile: suo fratello si chiama Alberto e non Giorgio come invece compare nel rapporto Dia. Circostanza, questa, che oggi la Dia chiarisce: un errore materiale di chi compila il rapporto cambia il nome vero Alberto in Giorgio.

Il socio della Co.Ge di Paolo Berlusconi è proprio il fratello del generale. Non più un problema di nomi, dunque, ma un fatto sostanziale. Ma perché il generale sostiene che il socio di Paolo Berlusconi non è suo fratello? La risposta è in quel rapporto Dia. All’inizio degli anni ‘90, nello stesso periodo in cui Mario Mori presenta alla Procura di Palermo un lungo rapporto su mafia e appalti, la ditta del duo Paolo Berlusconi-Alberto Mori sbarca in Sicilia.
Tutto a posto? Per niente. Perché la Co.Ge compare nel rapporto del luglio 1999 in termini molto poco lusinghieri.
Gli investigatori individuano la mano di Cosa nostra in alcune società: sono la Tecnofin (che costituirà la Co.Ge) sotto il controllo di Filippo Salamone (ed il rapporto, così come il provvedimento del Gip Tona indicano espressamente anche il nome di Giovanni Miccichè); la stessa Co.ge, la Tunnedil e la Cipedil del gruppo Rappa di Borgetto. Per la Dia queste ditte, insieme ad altre, sono sospettate di far parte del «tavolino degli appalti» un patto - sottolinea la Dia - «che garantisce i legami con la grande imprenditoria per la realizzazione dei lavori, il controllo su di essi di Cosa nostra, il recupero delle somme da corrispondere all’organizzazione e ai politici che assicuravano gli appalti».

Gli imprenditori con i quali la Co.Ge. di Paolo Berlusconi e Alberto Mori tratta sono Filippo Salamone (ed il rapporto, così come il provvedimento del Gip Tona indicano espressamente anche il nome di Giovanni Miccichè) e Giovanni Bini condannati in via definitiva nel maggio del 2008 per concorso in associazione mafiosa.
Il rapporto evidenzia «la sussistenza di specifici elementi di correlazione tra alcune delle società di interesse di Berlusconi e Dell’Utri ed altre società facenti capo a soggetti con ruoli di primo piano nei settori più fortemente condizionati dagli interessi e dalle direttive di cosa nostra».
Fin qui il racconto dell’Unità. Grandangolo deve aggiungere solo due cose.
La prima: il generale Mori ha presentato querela contro il giornale L’Unità; la seconda: Coge, Tecnofin, Impresem vengono indicate nel rapporto originale e nel provvedimento del Gip Tona riconducibili espressamente a Salamone e Miccichè.

Mafia e appalti, condanna definitiva per Filippo Salamone
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