23 Maggio 1992 -Giovanni Falcone, direttore della sezione Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia e tra i più autorevoli candidati alla carica di procuratore nazionale antimafia, viene ucciso insieme alla moglie e a tre agenti della scorta sull’autostrada nei pressi di Capaci, in seguito ad un esplosione di cento chili di tritolo.
19 luglio 1992 a muore Paolo Borsellino a Palermo L’esplosione, avvenuta in via Mariano d’Amelio dove viveva la madre e dalla quale il giudice quella domenica si era recato in visita, avvenne per mezzo di una Fiat 126 contenente circa 100 chilogrammi di tritolo.Oltre a Paolo Borsellino morirono gli agenti di scorta
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Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ‘68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
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Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere.
Credo che sia difficile che il mio “progetto di romanzo”, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere.
Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ‘68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio.
Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del “Corriere della Sera”, del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi?
Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All’intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al “tradimento dei chierici” è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere.
In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico.
In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto “insieme” di dirigenti, base e votanti - e il resto dell’Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un “Paese separato”, un’isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione.
In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità.
È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel “compromesso”, realistico, che forse salverebbe l’Italia dal completo sfacelo: “compromesso” che sarebbe però in realtà una “alleanza” tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell’altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro.
E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica.
E quindi, naturalmente, neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto.
L’intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l’impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti.
E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato. Cos’è questo golpe? Io so .....di Pier Paolo Pasolini
Il 1993 presenta, se possibile, uno scenario ancora più devastante e, questa volta, non più in Sicilia - luogo abituale delle azioni di Cosa Nostra - ma addirittura nel continente.
Alle ore 21.40 del 14 maggio, a Roma, in via Ruggero Fauro, esplodeva un’ autobomba che doveva provocare la morte del giornalista Maurizio Costanzo, rimasto fortunatamente illeso.
Alle ore 1.02 del 27 maggio, nel centro di Firenze, esplodeva un’ altra autobomba che cagionava il crollo di un’ala della Torre dei Pulci, con la sovrastante abitazione di una famiglia, i cui quattro componenti, fra i quali due bambini, decedevano all’istante.
I vicini palazzi storici venivano sventrati e nell’incendio di uno di questi moriva uno studente. Risultavano danneggiati anche la galleria degli Uffizi, palazzo Vecchio, la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia al Ponte Vecchio e numerose opere d’arte conservate in quegli edifici venivano distrutte o deteriorate, fra cui quelle di Giotto, Rubens, Tiziano, Sebastiano del Piombo.
Alle ore 23.14 del 27 luglio, in via Palestro a Milano, davanti all’ingresso della Villa reale, esplodeva un’altra autobomba che uccideva cinque passanti e danneggiava gravemente vari edifici, fra i quali il Padiglione d’Arte Contemporanea con le opere in esso conservate e la Galleria d’Arte Moderna.
Alle ore 23.58 del 27 ed alle ore 00.02 del 28 luglio, a Roma, venivano fatte esplodere altre due autobombe: una in piazza S. Giovanni in Laterano e l’altra presso la Chiesa di San Giorgio al Velabro. Anche in questi casi ingenti furono i danni al patrimonio artistico e non solo a questo perché le esplosioni provocarono anche il ferimento di numerose persone.
Nelle stragi del 1993 - che dovevano proseguire con l’esplosione di un’autobomba allo Stadio Olimpico, in occasione di una partita di calcio, in danno di automezzi che trasportavano i Carabinieri che avevano svolto servizio di ordine pubblico ed a parte quella di via Fauro che doveva colpire un giornalista che aveva preso pubblica posizione contro la mafia - gli obiettivi furono ben diversi da quelli presi di mira nel 1992. Non più singole e ben individuate persone, ma direttamente lo Stato, colpito in alcune delle sue più rilevanti espressioni artistiche, culturali e religiose. In tal modo l’azione di Cosa Nostra assume valenze e significati sicuramente terroristico-eversivi.
Attraverso il programma di stragi realizzato in quell’anno l’associazione mafiosa voleva perseguire finalità politiche sostituendo al metodo democratico, quello fondato sull’intimidazione.
Dunque: non più regime speciale per i detenuti mafiosi, non più protezione dei collaboratori di giustizia ed utilizzazione delle loro dichiarazioni.
L’indagine svolta sulle stragi del 1993 ha consentito di individuare coloro che materialmente ebbero a compierle e coloro che, dall’interno di Cosa Nostra, le progettarono.
Lo stesso è avvenuto per la strage di Capaci e per quella di via D’Amelio.
Tuttavia le procure della Repubblica che hanno indagato sull’una e sull’altra “serie stragista” non hanno ritenuto chiuse le loro investigazioni: una pluralità di sintomi induce infatti a prospettare un ulteriore percorso di indagine volto a verificare la concretezza dell’ipotesi investigativa, suggerita appunto da quei sintomi, secondo cui di tali fatti possano esser stati ispiratori “mandanti dal volto coperto” estranei, cioè, all’organizzazione mafiosa Cosa Nostra, ma mossi da interessi con essa convergenti ed anch’essi appagabili con la strategia attuata da tale associazione.
Si tratterà di stabilire, al termine del cammino investigativo già iniziato, ma seminato di difficoltà di vario tipo e spessore, se le tracce si saranno trasformate in orme o, meglio ancora, in impronte digitali.
In tale prospettiva va rilevato che Cosa Nostra, cui sempre più sono collegate ‘Ndrangheta e Camorra, le altre storiche associazioni mafiose, è divenuta compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme ad un potere criminale diverso e più articolato, dando vita a quello che ben può definirsi “potere criminale integrato”.
Lo scenario criminale delineato sullo sfondo degli ultimi attentati ha infatti posto in evidenza da un lato - come si è già avuto modo di rilevare - l’interesse alla loro esecuzione da parte della mafia e dall’altro la certezza di una presenza operativa di Cosa Nostra: ma è la sapienza della regia delle stragi a segnalare la novità.
Gli investigatori hanno notato che le sottili valutazioni sugli effetti di una campagna terroristica e lo sfruttamento del conseguente condizionamento psicologico non sembrano il semplice frutto della mente di un criminale comune, sia pure mafioso: si riconosce in queste operazioni di analisi e di valutazione una dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi delle comunicazioni di massa ed anche una capacità di sondare gli ambienti politici e di interpretarne i segnali. Si potrebbe pensare ad una aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso nel quale convergano finalità diverse.
La stessa svolta della risposta giudiziaria, sia sul versante della repressione delle associazioni di tipo mafioso che su quello della corruzione, con i ben noti effetti dirompenti sull’apparato dei partiti, può aver determinato una coincidenza degli interessi di Cosa Nostra con quelli di altri settori investiti dalle indagini: settori della politica corrotta e dell’eversione di destra; logge massoniche coperte; imprenditori e finanzieri d’avventura collusi; pezzi o reticoli di funzionari dello Stato infedeli.
Se questi nodi saranno sciolti, il nostro Paese avrà compiuti passi di decisiva importanza per una sempre più radicata affermazione della democrazia.
da:napoli e dintorni
domenica 6 marzo 2011
Conosco i Maiali !!!!
07/03/2011
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