sabato 1 ottobre 2011

CHI E' DELLA VALLE?

Silvio Perroni:
Della Valle ha acquistato 4 pagine sui principali quotidiani per protestare contro il governo. Ma chi è Della Valle? E' uno che è entrato nella classifica dei più ricchi del mondo. E' uno di quelli che ha delocalizzato, facendo così concorrenza sleale alle ditte italiane, sfruttando i popoli dei paesi poveri, e aiutando i regimi dittatoriali di quei paesi. Molte delle sue sedi sono nei paradisi fi...scali, e quindi non paga tasse. E' proprietario di media informativi, e quindi accusato di abuso di potere. Non si cura dell'ambiente, in quanto non ha bilanci socioambientali, ed ha atteggiamenti ostili verso i sindacati. Ovvero, è come tutti gli altri ricconi causa dei nostri mali. Forse è invidioso dell'altro riccone?


Tod's - Imprese alla sbarra www.impreseallasbarra.org

La capogruppo Tod's Spa controlla 34 società, di cui 4 domiciliate in Italia ed il resto in altri paesi d' Europa, degli Stati Uniti e dell'Asia.
L'attività principale del gruppo è sia la produzione che la vendita al dettaglio, attraverso negozi a proprio marchio, di calzature (71% del fatturato)


UNA BREVE RIFLESSIONE
SULLA CRISI ITALIANA E COME USCIRNE.
pubblicata da Leonardo Masella
28 settembre 2011 alle ore 2.15.
Nel dibattito sulla crisi italiana
e su come uscirne ci sono due
cose che vanno chiarite.
1) La crisi italiana è una crisi solo del debito pubblico, e quindi come falsamente fa intendere Confindustria, attribuibile allo Stato ?
O non è anche o soprattutto una crisi imprenditoriale, industriale e produttiva, di cui non a caso non si parla mai ?
La crisi italiana è innanzitutto una crisi imprenditoriale, industriale e produttiva.
Le imprese italiane non vendono più i prodotti e questo porta ad una riduzione della produzione e quindi a lunghi periodi di cassa integrazione (a spese dello Stato e dei lavoratori), al ridimensionamento delle aziende o addirittura al fallimento e alla chiusura.
Siamo in presenza di uno stillicidio di imprese che ogni giorno a centinaia in tutto il paese chiudono perché non vendono e quindi non producono.
Questo è l’aspetto più grave e nascosto della crisi.
Perché è nascosto ?
Innanzitutto perché se non fosse nascosto farebbe parlare dei milioni di lavoratori che stanno perdendo e rischiando il posto di lavoro (di cui nessuno parla) e in secondo luogo perché darebbe la responsabilità della crisi alle imprese e a tutto un sistema pubblico succube delle imprese che ha favorito finanziamenti dello Stato a pioggia alle imprese invece che una seria programmazione di politica industriale a cui vincolarle per orientarle alla qualità della produzione, alla innovazione, alla ricerca e cioè all’export che è il modo principale oggi, nella crisi strutturale del mercato interno, per vendere e per continuare a produrre.
Non parlare della crisi imprenditoriale, industriale e produttiva e solo del debito pubblico fa apparire la Marcegallia e soci di ruberie come i salvatori della patria e non come i principali responsabili del default della nostra economia.
2) Si parla spesso in questi giorni di crescita dell’Italia, ma si nasconde che Confindustria e i suoi partiti, di governo e di opposizione, propongono ricette utili solo ad aumentare i profitti a breve e non ad accrescere la produttività complessiva del Paese.
Innanzitutto è evidente che riducendo il potere d’acquisto di stipendi e pensioni si riducono i consumi e quindi la possibilità di vendita dei prodotti italiani nel mercato interno. In secondo luogo le proposte di Confindustria vanno proprio in direzione opposta alla possibilità di accrescere la competitività internazionale dei prodotti italiani e quindi l’export e quindi la produzione. Dei cinque punti proposti da Confindustria il primo è la riforma delle pensioni per aumentare l’età pensionabile, cosa che renderà ancora più difficile l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.
Il secondo è di “vendere il patrimonio pubblico”, il terzo è di “ridurre l’ingerenza del pubblico nell'economia”, il quarto è “un piano di privatizzazioni e di liberalizzazioni serio”.
Cioè proprio tutto il contrario di ciò che ci vorrebbe per far crescere la produzione: un forte intervento pubblico, a partire dalla proprietà pubblica di banche e settori strategici, in grado di individuare i settori più potenzialmente competitivi del made in Italy nel mondo e di intervenire nel sistema delle imprese per concentrare in quei settori la produzione al fine di accrescere le esportazione nei mercati oggi emergenti in crescita poderosa, come i Brics e non solo.
C’è un mercato in crescita inimmaginabile in questi paesi di giovani con un buon reddito, con una voglia di vivere bene, di avere beni di consumo di massa come li abbiamo avuti noi (proviamo a pensare al nostro boom economico degli anni '60 moltiplicato per 10). Qui potrebbe essere indirizzata la nostra produzione, ovviamente valorizzando le nostre esperienze migliori e capacità, per tornare a vendere e a produrre superando la crisi.
Ma per fare ciò serve molta più direzione politica pubblica, più capace, più efficiente, che conosca il mondo, non solo spaghetti e caffè e non solo l'occidente (che è ormai piccola cosa) e soprattutto determinata, non capitolarda come è stato il governo Berlusconi per la guerra in Libia e per il commissariamento della Bce per la manovra. Ma purtroppo l’attuale opposizione parlamentare è da questo punto di vista forse pure peggio. L’unica cosa che potrebbe salvarci è un grande movimento di massa, di popolo, di lotta che portasse alla ribalta in tempi brevi una nuova classe dirigente, soprattutto dal mondo del lavoro e della cultura, con le idee chiare e con le palle (chiedo scusa per il termine maschilista) per portare l’Italia fuori dalla crisi. Cioè, per l’Italia, una sorta di rivoluzione.
Ma la vedo dura....

Leonardo Masella, 28 settembre 2011.
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